Angelo Fiore – (Palermo, 1908 – 1986)
FIORE, Angelo. – Nacque il 1° febbr. 1908 a Palermo, da Gaetano, impiegato del genio militare, e Marianna Conforto. A Palermo, conseguita la maturità classica nel ’26 presso il liceo-ginnasio “Garibaldi”, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza. Furono anni di frenetiche letture, decisive per la sua narrativa: F. Dostoevskij, L. Tolstoj, M. Proust, L. Pirandello, ma anche S. Agostino, S. Tommaso, E. Kant, S. Kierkegaard, F. Schopenhauer, F.W. Nietzsche, e da ultimo F. Tozzi e A. Fogazzaro (quello di Malombra), dai quali, come dichiarò, ebbe lezioni di stile. Nel contempo, abbandonati gli studi di legge, passò alla facoltà di lingue e letterature straniere dell’università di Napoli, mentre lavorava con il padre come impiegato negli uffici dell’amministrazione militare. Nel 1942 Si laureò a pieni voti con una tesi su Shakespeare e le sue fonti novellistiche italiane. Durante l’occupazione svolse attività di interprete per conto dell’Intelligence Service, per poi intraprendere la carriera di insegnante: prima come supplente nelle scuole medie, poi come docente di ruolo di lingua inglese nell’istituto tecnico di Agrigento, da dove sarà trasferito a Palermo. Nel 1963 pubblicò la raccolta di racconti Un caso di coscienza (Milano), grazie alla segnalazione dell’amico A. Massolo che, su consiglio di C. Bo, aveva inviato il dattiloscritto a M. Luzi e R. Bilenchi, i quali dirigevano una collana letteraria per la casa editrice Lerici.
I protagonisti di queste storie, come tutti quelli dei romanzi che verranno, appartengono al mondo burocratico, scolastico o impiegatizio. Sono uomini senza qualità, abulici ed inconcludenti, meschini e risentiti, inizialmente paghi di una vita mediocre vissuta senza ambizioni o ansie, la cui esistenza è improvvisamente sconvolta da un qualche fatto: coincida esso con l’irruzione della nevrosi (come nel racconto che dà il titolo al libro), con la perdita del lavoro (ne Il licenziamento) o con il vagheggiamento di una grandiosa idea di se stessi (è il caso di Una sconfitta). Gli esiti di tali vicende sono sempre la rovina fisica e/o morale. Quello dei personaggi del F. si rivela, sin da quest’opera prima, “un allarmato cammino della coscienza” (Spagnoletti, 1984), del quale, ignorati o persi di vista il punto di partenza e quello di arrivo, resta soltanto il concitato e gratuito peregrinare. A tratteggiare questo processo di degradazione e dissoluzione della personalità, in uno scenario in cui il dato empirico (naturale, storico o geografico) si qualifica sempre simbolisticamente (Tedesco, 1970), il F. impiega una prosa franta e disadorna, di brusche interruzioni e scatti repentini, volta quasi, in certi frangenti, a sopprimere i nessi narrativi.
Nel ’64 con Il supplente (Firenze), uscito per l’appassionato interessamento di G. Pampaloni, il F. vinse il premio Castellammare di Stabia, ricevendo il consenso di M. Pompilio, D. Rea, L. Compagnone e M. Prisco.
Il romanzo, opera artisticamente matura, della quale si ignora la data di stesura rispetto alle due pubblicate successivamente (il F. le spedì tutte insieme a Massolo: cfr. Rossi, 1988), racconta la “carriera spirituale” di Attilio Forra, impiegato dell’ufficio anagrafico cittadino, il quale ha accettato una supplenza in un piccolo paese della provincia. Egli, infatti, vissuto sempre nell'”attesa … di uno straordinario avvenimento metafisico”, si convince di essere il vicario di una ben altra autorità, nella progressiva disgregazione dell’Io in un polimorfo e delirante coro di voci divine, tra realtà ed allucinazione. A dirottare il protagonista dai retti binari di una vita mediocre è, dunque, una “radicata, precisa, quasi ossessiva idea della vita” (Pampaloni, 1981), un bisogno profondo di “illuminazione utopica” (Spagnoletti, 1984) che lo trasformano, nei monologhi esagerati e nelle conversazioni tramate di verità teologiche, in un infaticabile ricercatore di assoluti. Il supplente, ricco di echi filosofici (Collura, 1988; Latora, 1988) affidati all’estro parodico dello scrittore, persino attraversato da venature gnostiche (Di Grado, 1988), rivela un F. metafisico (Tedesco, 1973; Pampaloni, 1981), interessato a dimostrare le sue astratte equazioni speculative, incentrandovi il dramma del personaggio. Tale opera si costituisce, in termini logici se non cronologici, come archetipo concettuale da cui, “quasi per scissione e gemmazione”, hanno avuto origine tutte le altre prose, “di grande vitalità, ma necessariamente lontane da quell’immediatezza epifanica” (Gioviale, 1988).
Nel 1967 pubblicò Il lavoratore (Firenze), col quale ottenne il premio Selezione Marzotto. Il romanzo, sempre sul punto di deflagrare (Spagnoletti, 1984), racconta la storia di Paolo Megna, che, turbato da m’idea di Dio “non più immediata né sicura”, si fa frate, e poi confidente della polizia, fina a morire in circostanze misteriose: a chiudere un’esistenza tutta giocata tra i poli estremi del divino e del satanico.
Nel 1970 apparve L’incarico (Firenze), con cui il F. vinse il premio Enna Savarese (in giuria, L. Sciascia, S. Battaglia ed E. Falqui). Nel 1976 dette alle stampe Domanda di prestito(Firenze).
Nel 1980 il F. lasciava la sua abitazione, per trasferirsi dapprima in un pensionato per anziani e poi all’hotel Centrale di Palermo. L’anno dopo pubblicò per Rusconi L’erede del beato.
Il libro, di vasta mole e folto di personaggi e vicende, interrompe “la catena di romanzi-anti romanzi” (Spagnoletti, 1984) per recuperare una struttura narrativa tradizionale, in una dilatazione dello spazio e del tempo, con uno scenario stonco, pero, meramente didascalico, a fronte di quello che si riconferma come tema centrale delle opere del Fiore. Anche a questa altezza della sua produzione egli si conferma autore metafisico e visionario, in una prosa analitica e capziosa, che, di botto, si contrae o esplode, nel segno di una depauperizzazione semantica parallela alla parabola esistenziale dei suoi personaggi: sulla linea di un “realismo espressionistico” (Di Grado, 1988) che si è nutrito di Tozzi e dell’ultimo Pirandello, di Kafka e Musil (Tedesco, 1970; Pampaloni, 1981; Spagnoletti, 1984). E ciò, a segnare la grande originalità di una scrittura assai lontana tanto dall’esperienza neorealista o neonaturalista, quanto da quella di un’avanguardia che proprio a Palermo, quando egli iniziava la sua carriera letteraria, celebrava i suoi fasti.
Il 15 nov. 1986 il F. moriva a Palermo, per un ictus cerebrale, dopo aver passato gli ultimi anni a riscrivere febbrilmente quasi tutte le opere già edite.
Opere: A quanto citato nel testo si aggiungano il romanzo L’erede del Beato (Milano 1981), il racconto Un giorno del passato, pubbl. su La Fiera letteraria, 11 marzo 1967, e quelli postumi raccolti ne Le voci., testamento spirituale di A. F., Catania 1986 (Le voci, Il lavoro di Pannozzo, La formula dell’ingegner Servadio e La seduta del Parlamento), a cura di S. Collura, che ha premesso ai primi due brevi note. Di notevole interesse i diari: I giorni, Catania 1987 (gennaio-4 giugno ’62), con pref. di S. Collura; Pagine postume, in Arenaria, V (1988), 10, pp. 37-44, a cura di S. Collura; Dagli inediti di A. F., in La terza pagina, I (1988), I, pp. 1, 3; Diari o d’un vecchio: A. F. (inediti a cura di S. Collura), Catania 1991.
Fonti e Bibl.: Per quanto concerne le scarse notizie sulla vita, cfr. G. Finocchiaro Chimirri, Endoscopia dell’essere precario. “L’incarico“ di A. F., Catania 1988, pp. 79-85, e le testimonianze di M.V. Fiore (sorella dello scrittore) e S. De Giacomo (nipote), in Le opere e i giorni di un grande scrittore. A. F. (1908–1986), Atti del Convegno naz. tenutosi a Catania dal 4 al 6 giugno 1987, a C. del Movimento giovani per un nuovo umanesimo, Catania 1988, pp. 11-16. Ma si vedano anche l’intervista concessa dal F. a L’Ora, 4 marzo 1971, e quelle fatte da S. Collura a M. Luzi e R. Bilenchi, in La terza pagina, cit., p. 4.
Giudizi ed esami critici in N. Tedesco, L’oltranza figurale di A. F., in Testimonianze siciliane, Caltanissetta-Roma 1970, pp. 261-70; S. Addamo, Sullo stato della narrativa siciliana, in I chierici traditi, Catania 1978, p. 71; G. Pampaloni, Omaggio ad A. F., postfazione a L’erede del beato, Milano 1981, pp. 387-91; G. Spagnoletti, Considerazioni su A. F., in Otto–Novecento, VI (1982), 6, pp. 245-50, poi in La letteratura in Italia. Saggi e ritratti, Milano 1984, pp. 128-37; N. Tedesco, La realtà fisica e metafisica ovvero l’oltranza figurale di A. F. [1973], in La tela lacerata, Palermo 1983, pp. 104-12, poi con il titolo La frustrazione e l’oltranza nell’opera di A. F., in Scrivere la Sicilia, Siracusa 1985, pp. 113-21, quindi, rielaborato, come pref. a Il supplente, Marina di Patti 1987; G. Amoroso, Narrativa italiana 1975–1983, Milano 1983, pp. 253 ss.; M. C. Bracciante, A. F., in Gli eredi di Verga, Randazzo 1984, pp. 126-32; G. Barberi Squarotti, Vittorini ed oltre, in Scrivere la Sicilia, Cit., pp. 22 s.; S. Mizzi, La corruzione umana, in Lunario nuovo, VII (1985), 39, pp. 3-11; G. Spagnoletti, A. F., in La letteratura ital. del nostro secolo, III, Milano 1985, pp. 1070-74; Id., A. F., in Novecento siciliano, I, Catania 1986, pp. 343-54; M. Grasso, Per S. Salemi, pensando a A. F., in Lunario nuovo, VIII (1986), pp. 19-24; G. Pampaloni, Modelli ed esperienze narrative della prosa contemporanea, in Storia della lett. italiana (Garzanti), Il Novecento, II, Milano 1987, pp. 578-81; S. Rossi, Inattualità di A. F., in Laboratorio, II (1987), 5, pp. 41-44; G. Pampaloni, Presentazione a Le opere e i giorni di un grande scrittore, Cit., pp. 21 s.; G. Spagnoletti, F. e i suoi personaggi, ibid., pp. 23-32; G.A. Brunelli, La “sicilianità“ di A. F., ibid., pp. 33-42; S. Collura, Dio e l’inquietudine metafisica dell’uomo, ibid., pp. 43-58; A. Di Grado, L’eresia letteraria di F., ibid., pp. 59-74; S. Latora, I presupposti filosofici nella narrativa di F., ibid., pp. 75-88; M. C. Bracciante, A. F.: “Un caso di coscienza“, ibid., pp. 89-100; S. Rossi, Il supplente, ibid., pp. 101-110; A. Barbagallo, Il lavoratore, ibid., pp. 111-122; C. Cellini, Megna–F.: il disadattato alla menzogna, ibid., pp. 123-33; A. Mongiardo, Domanda di prestito, ibid., pp. 155-60; G. Amoroso, Il “formulario che chiamano vita“: L’erede del beato, ibid., pp. 161-70; F. Gioviale, F. e la parodia del tragico: “L’erede del beato“, ibid., pp. 171-83; N. Tedesco, Per concludere: il dubbio e l’azzardo, ibid., pp. 213-18, poi in L’occhio e la memoria, Marina di Patti 1988, pp. 109-14, quindi in La scala a chiocciola, Palermo 1991; A. Di Grado, A. F.: la figura e l’opera, Marina di Patti 1988 (con bibl.); S. Collura, La Verità aleggia sugli uomini, in La terza pagina, cit., p. 1; R. Minore, Un autore ossessivo e inesorabile, ibid., p. 1; C. Di Biase, Tensione metafisica in A. F., ibid., p. 2; L. Compagnone, Un Angelo ignorato, ibid., p. 3; M. Onofri, Diario siciliano, in Malavoglia, II (1989), 3; S. Addamo, A. F. tra precarietà e solitudine, in Oltre le figure, Palermo 1991, pp. 134-41.