23/07/2021 su LA REPUBBLICA di Palermo
di Marcello Benfante
Riemerge Angelo Fiore scrittore dell’inquietudine
Riemerge finalmente da un lungo
e ingiusto oblio “Domanda di prestito”
di Angelo Fiore, romanzo
sorprendente e attualissimo, di
metafisica trascendenza, ora riproposto
da Gattogrigio Editore
di Mantova (pagine 260, euro 10)
in una collana diretta da Antonio
Di Grado, ex cattedratico all’Università
etnea e critico raffinatissimo
, che ci promette, in opposizione
all’ovvia mediocrità contemporanea,
di ripescare perle rarissime
e perfino “introvabili”.
Apparso nel 1976 per l’editore
Vallecchi, “Domanda di prestito”
era ormai pressoché irreperibile.
Riappare ora, proprio in una collana
intitolata “Gli Introvabili”, grazie
alla cura e all’attenzione di Antonio
Di Grado, che firma anche
una breve e preziosa introduzione
al volume.
Tra i prossimi “introvabili” si annunciano
nomi come Mario Puccini
(Senigallia 1887 – Roma 1957)
con “Ebrei”, uscito per Ceschina
nel 1931, e Concetto Pettinato (Catania
1886-1975), nipote di De Roberto,
con “Rosso di sera”.
Sull’importanza di Angelo Fiore
(Palermo 1908-1986), come scrittore
di inquietudini profonde e
universali, è stato detto molto da
parte di critici, professori, storici
della letteratura, ma molto (forse)
resta ancora da dire.
Romanzo costituito da una serie
di siparietti e dialoghi di delirante
burocratismo, “Domanda di
prestito” s’incentra sulla misteriosa
richiesta di finanziamento che
uno sconosciuto e forse inconoscibile
nuovo segretario comunale
ha inoltrato al sindaco di una innominata
città (che potrebbe anche
essere la stessa Palermo). Tra
nonsense e allusioni teologiche si
delinea quella che Di Grado nella
sua introduzione definisce una
«Straniata favola politica» e una
bizzarra e quasi orrifica «antropomorfizzazione
della mediocrità
antieroica».
In un contesto di degrado e di
epidemia che sembra quasi un impossibile
riferimento all’oggi, si
susseguono antagonismi e perfino
delitti di cui sfugge la vera ratio
e che forse si possono ricondurre
a una fatalità del declino
umano, del suo imbestialirsi e rinunciare
a Dio.
D’altronde, interpretare Fiore e
il suo pessimismo misantropico è
sempre una scommessa ardua, di
problematico e pressoché indecidibile
esito.
Ma questo è proprio il fascino
della sua scrittura sfuggente ed
enigmatica, che si sottrae sempre
a una decodifica univoca e banale.
Molto appropriata, dunque, la
copertina che presenta uno splendido
acquerello di Bruno Caruso
intitolato “Luis Buñuel”, immagine
assolutamente in tema e di acutissima
pregnanza, giacché nessun
riferimento all’oltre-mondo
di Fiore sembra più appropriato
dell’arte spiazzante e surreale del
regista spagnolo e di quella grottesca
del pittore siciliano.